Bioremediation per la Terra dei Fuochi
È ormai cosa nota al pubblico, grazie anche ad una serie di inchieste televisive andate in onda nel 2013, che nell’area campana tra Napoli e Caserta il terreno sia contaminato da scorie radioattive che hanno dato il nome di Terra dei Fuochi a quest’ area, in cui non a caso la percentuale di tumori che colpisce la popolazione è la più alta di tutto il territorio nazionale.
Lo Stato non è potuto rimanere indifferente al clamore suscitato dalla notizia e ha previsto interventi di bonifica appositi, i quali hanno però costi davvero elevati (si pensi che l’intervento per la sola area di Giuliano, dove sorge il più grande sito di scorie radioattive, ha un costo di 200 milioni di euro). I fondi che il governo mette a disposizione non sono assolutamente sufficienti e ottenere quelli europei potrebbe richiedere troppo tempo, in quanto non esistono ad oggi direttive dell’UE in merito ad opere di bonifica.
Ma una soluzione ci sarebbe: si tratta della bioremediation, tecnica che utilizza microrganismi naturali per eliminare le sostanze nocive dal terreno a costi accessibili (l’Air Force Centre for Environmental Excellence stima un costo di utilizzo di questo metodo pari tra i 10 e i 70$ per m³). Esistono piante come la canapa che accumulano i metalli pesanti nelle radici e nelle foglie e mantengono le fibre immuni; coltivando queste piante si possono ottenere diversi benefici: la bonifica del terreno, la creazione di posti di lavoro e l’ottenimento di guadagni dalla vendita dei prodotti derivati da questi vegetali (dalla canapa, ad esempio, si possono ricavare carta, tessuti e mattoni per l’edilizia). Questa soluzione, a nostro avviso, quindi è utile sia per salvaguardare la salute dei cittadini campani sia la loro economia, che in questo modo potrebbe essere rilanciata.
Voi cosa ne pensate?