Inception
“Io posso creare interi romanzi nei sogni” affermava Dostoevskij in Le notti bianche. Nolan potrebbe affermare “Io creo lo scontro tra realtà e subconscio nei sogni”… E osservando e ascoltando il post Inception posso affermare che ci riesce benissimo.
Dom Cobb è letteralmente un “rapinatore” delle idee che si sviluppano durante i sogni degli individui. Fallita un’importante missione contro Saito, magnate energetico, lo stesso propone a Cobb e alla sua squadra una missione inversa al loro ordinario lavoro: innescare, all’interno della mente di Fischer, giovane erede della società energetica concorrente, l’idea di smantellare l’impero paterno in modo che Saito possa avere campo libero. L’innesto apparentemente sembra un’operazione impossibile ma Cobb accetta, primo perché è l’unico sicuro che simile operazione possa essere realizzata, in secondo luogo perché Saito gli offre la possibilità di ritornare da uomo libero in patria dove è ricercato per omicidio e riabbracciare i suoi due figli.
E mi fermo qui a raccontare la trama dell’ultimo, a mio avviso, capolavoro psichedelico del regista degli ultimi due film sull’eroe-pipistrello, Batman Begins e The dark Night, che lo hanno già consacrato maestro del thriller introspettivo.
Con Inception, Nolan riesce a entrare nella mente, non solo filmica, ma reale dello spettatore che fin dalla prima scena della pellicola – e vi assicuro anche per i giorni seguenti – resta incollato alla poltrona senza mai spostare lo sguardo dallo schermo per ben 142 minuti, attenzione che solo un inappropriato – in questo caso – intervallo può interrompere.
La forza del film è senza dubbio la sceneggiatura – non è un caso che Nolan ci abbia messo ben dieci anni, alcuni dicono anche dodici, per ultimarla alla perfezione. E’ uno di quei pochi lungometraggi dove tutta la produzione ruota attorno ad essa: il montaggio alternato tra i vari livelli dei sogni e tra i singoli livelli e la realtà; l’adozione di determinati effetti speciali; la costruzione delle scene; la regia degli attori. E’ una sceneggiatura complicata, densa di concetti, principi, teorie che spaziano dall’Architettura alla Fisica, dalla Psicologia Freudiana alla psichiatria-neurologia. E’ una sceneggiatura cervellotica che Nolan però riesce a rendere, allo stesso tempo, lineare. Nulla è lasciato al caso. Niente resta in sospeso. La narrazione si snoda e io spettatore risolvo tutti i i miei dubbi che si sono insinuati nel corso della proiezione. Tutto torna. O almeno così dovrebbe essere. Se non fosse per quell’ultimo fotogramma. Ma questo spetta a voi constatarlo. Nolan “innesca” un’idea, dalla quale è davvero dura, se non impossibile, stavolta uscirne.