CINEMA IN SENSO STRETTO: 13 GIUGNO 2010

Direttamente dalla Selezione Ufficiale parliamo di “American radical: The Trials of Norman Finkelstein” di David Ridgen e Nicolas Rossier (Canada-Usa/2009/84′). Norman G. Finkelstein è uno degli intellettuali contemporanei più controversi al mondo. Figlio di ebrei sopravvissuti, prima all’evacuazione forzata del ghetto di Varsavia e, in seguito, al campo di concentramento di Auschwitz ed emigrati alla fine della guerra in America, è un forte sostenitore dei diritti di autodeterminazione del popolo palestinese e un convinto fautore della coraggiosa tesi dell’esistenza di una vera e propria Industria dell’olocausto – dalla quale deriva l’omonimo suo libro – promossa dallo Stato d’Israele nei confronti dell’Europa per ricattarla moralmente ed emotivamente in seguito allo scempio della Seconda Guerra Mondiale. Le sue teorie e i suoi scritti hanno generato, fin dall’inizio, infinite polemiche e, in particolar modo, hanno costretto Norman Finkelstein a lasciare i vari incarichi da docente universitario. Nonostante abbia perso lavoro e sia molto spesso sottoposto a un bombardamento mediale inconcepibile, Norman continua a combattere per la sua libertà intellettuale e per l’affermazione delle sue tesi.

La biografia, in alcuni momenti decisamente troppo lenta, riceve senza dubbio un riscontro positivo. La personalità di Norman G. Finkelstein non è assolutamente semplice da trattare e raccontare in modo esaustivo: i due registi hanno optato per un registro stilistico che prevedeva il racconto in terza persona del protagonista, con una serie di suoi interventi per sostenerne la causa. Assolutamente appropriata la scelta di non scavare troppo nel passato del professore americano, ma di porre un’attenzione particolare nei confronti del presente e dei suoi innumerevoli viaggi che lo portano al confronto – molto più spesso si trattano però di duri scontri verbali – con una serie di personalità accademiche e non. La biografia documentaria cerca di essere un semplice specchio riflessivo: i due registi non cercano di elogiare o sminuire il protagonista. Il loro intento è quello di presentare, raccontare la storia di un radicale americano che pur di affermare la propria libertà intellettuale è disposto a mettere in secondo piano la propria vita professionale e personale. Il suo ritratto di uomo duro, determinato e caparbio è completamente stravolto,poi, dal rapporto di totale dipendenza che Norman G. Finkelstein ha nei confronti di sua madre, superstite dell’Olocausto. Una donna forte e coraggiosa che a differenza di molti, dopo quella tragica esperienza, non ha mai mostrato segnali di vendetta o odio nei confronti dei suoi nemici. Tutt’altro: ha sempre cercato di insegnare ai suoi figli che la violenza, le armi, la guerra non sono gli strumenti giusti per la ricerca della pace. “Anche solo la morte di una persona in nome della pace è un vero e proprio fallimento” - così afferma una registrazione vocale della madre. Ed è proprio da questi insegnamenti che Norman approfondisce i suoi studi su gli interminabili conflitti arabo-israeliani, giungendo alla conclusione che lo Stato d’Israele non è poi così tanto diverso dalla Germania nazista nei confronti del popolo palestinese.

Affermare di essere d’accordo oppure no con Norman non è prerogativa di questo spazio online…senza dubbio l’argomento è aperto al dibattito e non credo possa avere una conclusione netta…ciò di cui sono sicura è che una simile biografia documentaria è un ottimo strumento per poter analizzare più approfonditamente un argomento a noi così familiare, quotidiano, ma così oscuro, incomprensibile e lontano.

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